È questo il momento

Queste note sono il frutto di un primo confronto tra un gruppo di firmatarie dell'appello per indicare il terreno di impegno su cui pensiamo sia necessario confrontarsi all’interno di Ravenna Coraggiosa e anche fuori, con donne e uomini, ragazze e ragazzi della nostra comunità.

Un primo contributo aperto a tutte e tutti coloro che, assieme a noi, vorranno proseguire il cammino di Ravenna Coraggiosa.

Consegniamo ai gruppi di lavoro che iniziano un percorso per costruire un progetto comune e condiviso per Ravenna, questa prima traccia, perché in modo trasversale, in ogni proposta, sia presente l’ottica di genere senza la quale non saremo Coraggiose e Coraggiosi, radicali nelle nostre proposte di cambiamento e di superamento delle diseguaglianze.

È questo il momento. La pandemia, con la conseguente crisi sociale ed economica, traccia una linea di confine tra un “prima” e un “dopo”, mostrando come il vero problema fosse la vita precedente ad essa: ritmi incontrollati, sfruttamento ambientale apparentemente senza limiti; privatizzazione, marginalizzazione e depauperamento di settori essenziali per la vita, diseguaglianze crescenti e accumulo di grandi ricchezze nelle mani di pochi. Ma ci mostra anche il valore essenziale delle attività di riproduzione sociale e di cura, che sorreggono l’esistenza stessa: il sistema sanitario, la scuola e tutto il lavoro invisibile svolto fra le mura domestiche. E allora mettere al centro LA CURA DEL VIVERE è una scelta radicale e affermare la centralità della differenza di genere nelle politiche pubbliche e private, nel lavoro e nella vita sociale, nella distribuzione dei carichi familiari e nella realizzazione di servizi di cura e assistenziali, è la chiave per dare risposte ai bisogni vecchi e nuovi di tutte e tutti. Il contrasto alla diseguaglianza di genere deve essere riferimento in tutti i campi, perché solo affrontando questa primaria diseguaglianza, è possibile affrontare anche le altre che rendono così ingiusta la nostra società.

Occorre investire risorse alternative, riqualificare quelle già presenti e riorganizzare il territorio secondo un pensiero nuovo che rovesci il modello attuale smantellandone la matrice oppressiva e ne affronti le diseguaglianze, senza lasciare ulteriori differenziazioni tra donne e uomini, tra abili e disabili, tra primi e ultimi.

 Intersezionalità e patto generazionale devono essere i due gameti da cui questo pensiero si origina: anni di svalutazione della cultura di genere e delle categorie “fragili” hanno prodotto una politica che sempre più ha relegato ai margini dei tavoli di discussione e decisione i soggetti più deboli il cui coinvolgimento è essenziale per costruire politiche orientate al benessere sociale, ridefinendo le priorità collettive e mettendo al centro una nuova visione del lavoro retribuito e non. Questo è il momento del cambiamento radicale che restituisca la centralità alle persone attraverso il riconoscimento del valore delle attività di cura, delle relazioni, dell'ambiente; per attuare politiche che contrastino la frammentazione del mercato del lavoro e delle tutele universali, per ripensare radicalmente il sistema di protezione sociale.

Ed è proprio da lavoro e servizi che bisogna ripartire.

La crisi sanitaria ha introdotto un modello innovativo di lavoro a distanza che se da una parte agevola la flessibilità di orari e l’autorganizzazione - consentendo il risparmio dei tempi di spostamento - dall'altra genera nuove condizioni di impiego che necessitano di essere regolamentate, affinché gli aspetti legati al rischio di separazione e atomizzazione del lavoro non ricadano sul lavoratore stesso. In particolare sono le donne a dover conciliare nello stesso ambiente domestico il lavoro retribuito e quello non: la cura della casa e dei figli è ancora in larga misura appannaggio delle donne nel nostro paese.

L’ampia diffusione del lavoro in remoto, anche tra gli uomini, deve essere orientata a favorire un’equa distribuzione del lavoro complessivo, retribuito e di cura, così da alleggerire il carico che spesso grava sulle donne e che le porta a compiere rinunce in ambito professionale. Infatti il 31,5% delle donne tra i 25 e i 49 anni che sono senza lavoro, non cerca o non è disponibile a lavorare per motivi legati alla maternità o alla cura. Infatti prevalentemente sono le donne a scontrarsi con la necessità di rivedere l’organizzazione del proprio lavoro a fronte della nascita di un figlio, e sono sempre loro a ricorrere più frequentemente alle dimissioni volontarie per motivi legati alla famiglia. Si tratta della cosiddetta “child penalty” (il costo sul mercato del lavoro della nascita di un figlio) che colpisce le madri in termini di maggiore disoccupazione, uso del part-time e penalità nei redditi da lavoro.

WELFARE GENERATIVO

SERVIZI ALL’INFANZIA

In questo cambio di prospettiva la maternità non deve più esser vissuta come un problema ma come una risorsa e quindi l’adozione di politiche strutturali e di investimento, dirette ai consumi sociali e al welfare pubblico, sono necessarie e fondamentali.

Allora che si parta dall'ampliamento dell’offerta dei servizi educativi per la fascia di età 0-6 anni, garantendo, per esempio, il tempo pieno e le attività di pre e post scuola; si potenzinogli asili nido e le scuole per l’infanzia, conseguendo così un doppio obiettivo: l'incremento dell’occupazione femminile e la riduzione dei forti divari di opportunità tra cura ed educazione, che contribuiscono in maniera decisiva a perpetuare le diseguaglianze sociali.

Anche nella nostra realtà, che pure vede una buona presenza di servizi pubblici per l’infanzia, si pone il problema di avere tariffe più contenute, non solo per i redditi più bassi, e una maggiore flessibilità di orari, in risposta alle crescenti esigenze delle famiglie, anche monogenitoriali, che rappresentano una realtà sempre più presente. 

EDUCAZIONE DI GENERE

Non è più rinviabile una grande campagna di formazione ed educazione alla differenza di genere, all'educazione sessuale e all'affettività.

La cultura scolastica ha privilegiato il protagonismo e i modelli maschili – nonostante la scuola si definisca un'istituzione neutra e neutrale – cancellando le differenze e il valore dell'esperienza femminile. Con la legge conosciuta come “buona scuola” del 2015 sono stati individuati diversi obiettivi per superare le discriminazioni di genere, ma ciò non è sufficiente al cambiamento culturale richiesto dal nostro tempo.

Per produrre un cambiamento reale anche nella scuola, è necessario inserire nella programmazione scolastica, l’educazione alla differenza di genere già dalla scuola dell'infanzia fino ai gradi secondari, così da evitare la cristallizzazione di tanti stereotipi e se si vuole decostruire la cultura sessista così presente ancora nei media, nel lavoro, nelle famiglie e che è causa prima della violenza.

 Educare i/le giovani alle differenze tra i sessi, al rispetto reciproco delle peculiarità e alle relazioni di genere, alimentando così anche la consapevolezza che l'essere donna rappresenta un diverso universo di vivere e sentire la vita, diverso ma complementare a quello maschile.

La scuola deve ritornare ad essere un luogo di riferimento per gli studenti e le studentesse, così che questa nuova cultura del rispetto e del riconoscimento reciproco delle individualità possa radicarsi e contrapporsi al diffondersi delle culture omofobe e discriminanti delle differenze.

SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO

Questo periodo di pandemia ha provocato inevitabilmente una ridefinizione degli spazi sociali e dei tempi quotidiani che hanno profondamente scosso non soltanto gli adulti, ma soprattutto gli adolescenti che più volte, attraverso i vari canali di comunicazione, hanno tentato di far sentire la propria voce esprimendo il loro disagio e le loro difficoltà.

Se pensiamo ad un cambio di prospettiva, allora, non possiamo dimenticare quanto fondamentale sia il ruolo della scuola non solo in termini di istruzione ed educazione, ma anche come luogo di relazioni e di esperienza.

I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di trovare nella scuola figure di riferimento che non siano solo i loro insegnanti, ma anche figure altre con le quali potersi confrontare e poter mettere a confronto i diversi punti di vista.

Fondamentale, allora, incrementare il monte ore a disposizione degli psicologi e/o dei counselor che dovrebbero essere in grado di avere a disposizione sufficiente tempo da dedicare ad ogni classe, ma anche ad ogni ragazza/ragazzo che ne sente il bisogno.

Altrettanto fondamentale reintrodurre nelle scuole secondarie la figura dell'infermier* che possa non solo svolgere il suo ruolo contenendo possibili situazioni di emergenza, ma che possa fungere da riferimento su questioni che riguardano la salute fisica ma anche sessuale delle/gli student*.

La presenza di entrambe le figure faciliterebbe un percorso integrato e trasversale tra educazione di genere, educazione all'affettività ed educazione sessuale come già accade in diversi paesi europei in cui tali insegnamenti sono obbligatori.

In quest'ottica un importante segnale, anche di collaborazione tra l'istituzione scolastica e l'azienda sanitaria locale, sarebbe la distribuzione gratuita degli assorbenti nelle varie scuole di secondo grado del territorio, perché come succede anche in questo caso in vari paesi europei: avere il ciclo è una cosa naturale, non è un argomento di cui non parlare e tanto meno non è un lusso.

INFRASTRUTTURE E RIQUALIFICAZIONE URBANA

Le politiche economiche sono necessarie anche a contrastare la tendenza attuale che favorisce un’aggressiva privatizzazione dei servizi assistenziali, finanziando investimenti sul fronte dell’innovazione strutturale, tramite la riconversione degli edifici già esistenti, la dotazione di tecnologie all’avanguardia e l'implementazione di professioniste/i qualificate/i, che possano facilitare l'erogazione dei servizi stessi.

Il nostro territorio, per esempio, è carente di posti letto riservati a donne senza fissa dimora, che spesso si rivolgono a servizi sociali o ad associazioni che si trovano impossibilitati ad indicare strutture idonee alla loro accoglienza. Questa difficoltà potrebbe esser risolta attraverso l'individuazione, ri-destinazione e riqualificazione di una struttura attualmente dismessa a dormitorio per sole donne che comporterebbe così la risoluzione di quella che, ad oggi, è una carenza.

Un'altra esigenza che viene definendosi nella società attuale è quella di poter contare su un maggior numero di case per agevolare il co-housing come modalità sempre più diffusa di abitazione con l'ottica di coniugare architettura abitativa e stile di vita comunitario ed ecologico.

Ne è un esempio molto interessante il progetto di co-housing di “Case Franche” sorto in località San Martino di Villafranca, dove responsabilità ambientale, sociale ed economica sono i valori su cui si basa la coabitazione dei 18 nuclei famigliari lì residenti. Prendendo spunto da questo progetto si potrebbe dare risposta anche al bisogno espresso da quei ragazzi e ragazze che vivono nelle loro famiglie situazioni di disagio causate anche dalla loro identità di genere e che sono alla ricerca di un contesto dove poter vivere in serenità.

ASSISTENZA AD ANZIANI E DISABILI

A quanto fino a qui evidenziato è opportuno affiancare il sostanziale potenziamento della rete di assistenza pubblica territoriale, sanitaria e non. Particolare attenzione va riservata ai servizi di cura per anziani e disabili, il cui espletamento ricade molto di frequente sulle spalle delle donne. Sono necessari, quindi, interventi su vari fronti: da una parte è necessario rendere il reperimento e l'accesso alle strutture adeguate ai bisogni della singola persona più snello, dall'altra è indispensabile la riqualificazione di edifici in disuso in alloggi per anziani e disabili che utilizzino tecnologie innovative al fine di superare le barriere fisiche, sensoriali e cognitive, mettendo così al primo posto il valore dell'autonomia individuale.

In ultimo, per evitare l'istituzionalizzazione di anziani e disabili non autosufficienti, è importante valorizzare e rafforzare la rete di assistenza domiciliare, così che le famiglie possano scegliere se prendersi cura del proprio famigliare presso la propria abitazione oppure optare per una struttura residenziale.

Queste infrastrutture sociali generano sostegno alle famiglie e nuove opportunità di occupazione che, nella maggior parte dei casi, è femminile.

CONSULTORI

In un’ottica di sviluppo della medicina di genere che non è la medicina delle donne, ma è la medicina della persona nella sua totalità - indipendentemente dal genere o dai generi di appartenenza – vanno riportati al centro i consultori familiari, individuati come punti di aggregazione e non solo di cura, finalizzati alla promozione della cura in tutte le fasi della vita.

La nostra Costituzione, infatti, sancisce il diritto universale alla salute e questo diritto deve esser garantito tramite anche la piena attuazione della legge 194, resa difficoltosa dall’alta percentuale di medici obiettori presenti nelle strutture pubbliche. Ad oggi, viste anche le recenti linee guida ministeriali, si aggiunge la necessità che i consultori siano luoghi idonei all'attuazione dell'aborto farmacologico.

Importante potrebbe essere il ruolo di raccordo che essi, se in funzione, possono realizzano fra ospedale e territorio circostante. Va quindi rilanciato il ruolo primario del consultorio familiare non solo nella promozione della salute riproduttiva, di tutela sociale della maternità, di presa in carico della donna partoriente e dell’assistenza post partum, di prevenzione dell’aborto, di accompagnamento e di sostegno alla donna che decide di abortire, ma anche in tutte quelle problematiche che le donne possono vivere successivamente alla menopausa.

I consultori sono nati come servizi prioritari per la prevenzione: un servizio integrato che non separasse i problemi sanitari da quelli sociali. E' un paradigma della salute come bene comune, che promuove il benessere delle persone e, per questo, vanno rilanciati, potenziati e qualificati anche nell’ambito dello sviluppo della medicina territoriale e di comunità.

In questa ottica, particolare attenzione deve essere riconosciuta ai giovani, promuovendo, in collaborazione con la scuola, un'educazione sessuale e alla contraccezione, rendendola concretamente gratuita per le ragazze e i ragazzi.

Qual è la situazione nel nostro territorio? Bastano i consultori presenti? Rispondono alle esigenze che ricorrono durante il ciclo della vita?

Noi pensiamo che sia doveroso estendere la rete, perché l’accentramento dei consultori avvenuto negli ultimi anni nella nostra realtà ha di fatto dato un primo colpo all’azione socio sanitaria delle strutture, che è diventata sempre più sanitaria e sempre meno di prevenzione, anche per il numero inadeguato delle professionalità presenti, pertanto le nostre proposte sono:

  • Ripristinare, come da legge, un consultorio ogni 20.000 abitanti, quindi la presenza di strutture che torni ad essere di prossimità.
  • Implementare il numero dei ginecologi presenti (a settembre la presenza reale era inferiore del 40% di quelli previsti in pianta organica) e ripristinare tutte le prestazioni, non solo quelle legate alla gravidanza.
  • Inserire nell’organico della struttura figure professionali dedite al sostegno psicologico, essenziali nell'affrontare i percorsi di vita (dell’adolescenza alla menopausa) e di identità sessuale
  • Adeguare i consultori ad applicare al loro interno l’aborto farmacologico, come stabilito dalle linee guida del Ministero della Salute.
  • I consultori garantiscono servizi specifici e, come tali, l'accesso ad essi deve poter esser immediato, senza dover ricorrere alla prescrizione del proprio medico di base o dover richiedere un appuntamento ad un C.U.P.

VIOLENZA SULLE DONNE E FEMMINICIDI

E’ una battaglia che non può essere delegata solo ai Centri Antiviolenza e ai movimenti femminili e femministi. Servono forti interventi strutturali e organizzati con politiche mirate che contrastino tale fenomeno, che è strutturale, culturale e che disvela come la cultura patriarcale sia profondamente radicata. Un fenomeno che ha avuto un drammatico incremento nell’ultimo anno, anche a causa del domicilio forzato. In Italia il numero di donne uccise è in costante aumento e il nostro territorio non è esente da queste statistiche; i dati confermano che oltre alla violenza aumenta anche la difficoltà delle donne offese a chiedere aiuto, infatti il 90% delle violenze perpetrate non viene denunciato. Occorrono soluzioni che coinvolgano tutte le istituzioni al fine di dare maggior tutela alle donne, con informazioni mirate alla conoscenza della normativa per il contrasto alla violenza di genere e per un percorso, guidato e protetto, di uscita dalla violenza, inclusivo del sostegno economico e dell’aiuto nella ricerca di un lavoro.

Va potenziata la convenzione e il sostegno ai Centri Antiviolenza e alle Case rifugio, che si occupano di fornire ospitalità, ascolto e sostegno psicologico e legale alle vittime di violenza, e che spesso danno l’unica risposta immediata e concreta che le donne oggetto di violenza trovano nelle istituzioni del territorio. 

  • riconoscimento come professioniste delle operatrici che lavorano nei centri antiviolenza
  • attuazione dei protocolli che negli anni il centro antiviolenza ha stilato con le diverse figure e istituzioni appartenenti alla rete
  • formazione periodica e obbligatoria di tutti i professionisti che a vario titolo entrano in contatto con donne che subiscono violenza
  • rendere obbligatorie formazioni ad hoc congiunte tra assistenti sociali e operatrici del centro antiviolenza affinché possano esser condivise le pratiche, resa più snella l'operatività e affrontate le criticità.

OCCUPAZIONE FEMMINILE

Al centro dell’agenda programmatica delle amministrazioni locali deve trovare spazio l’attuazione di una vera e propria politica di genere, che non rincorra il contrasto alle diseguaglianze tramite l’annullamento delle differenze tra donne e uomini, ma basi su di esse l’attenzione e la risposta a temi specifici.

La valutazione di impatto sulle donne dei vari progetti è il presupposto per incidere realmente sulle diseguaglianze e colmarle. Con la pandemia l’occupazione femminile è crollata: a dicembre il tasso è sceso al 48,6% e sono andati in fumo più di 100.000 posti di lavoro, di cui il 98% è rappresentato da donne; infatti nei settori dove sono prevalentemente occupate le donne, come commercio e ristorazione, sanità e servizi sociali, manifattura e istruzione, si è perso il gran numero dei posti e la pandemia ha costretto un sovraccarico di lavoro per le donne a cui è stato chiesto di conciliare il lavoro di cura, ritenuto primario, e il lavoro fuori casa secondario e da sacrificare. E’ il momento in cui le donne non vengano più considerate sostitutive di uno stato sociale smantellato e che le costringe ancora a scegliere tra lavoro e famiglia, aumentando le diseguaglianze tra uomini e donne ma anche fra donne con figli e donne senza. Le donne andrebbero considerate come parametro per spostare il paradigma dalla conciliazione alla condivisione e su questo produrre politiche attive del lavoro e il cambiamento culturale necessario. Nell’ambito della sicurezza sul luogo di lavoro, persiste da parte del datore di lavoro la valutazione del rischio su parametri “neutri”, mentre in questo campo la distinzione è necessaria, per cui occorre dare attuazione delle norme di genere sulla sicurezza sul lavoro;

DEMOCRAZIA PARITARIA (50%)

Se non è paritaria non è democrazia

Purtroppo la strada verso una sostanziale democrazia paritaria è ancora lunga, ma non per questo non possiamo pensare a come rendere questo percorso un po' meno in salita.

La nostra proposta è la presenza paritaria di donne e uomini negli organismi esecutivi e gestionali del comune e degli enti ad esso collegati.

Affinché però sia garantita un'equità tra donne e uomini nelle stesse posizioni ricoperte, è importante pensare a misure che rendano tale parità reale.

Questo perché le donne non devono esser portate a scegliere tra vita famigliare e vita lavorativa né tanto meno devono sentirsi obbligate a conciliarle.

Realizzando tali interventi anche le donne potranno dare il loro contributo al pari degli uomini.


Queste note sono il frutto di un primo confronto tra un gruppo di firmatarie dell'appello per indicare il terreno di impegno su cui pensiamo sia necessario confrontarsi all’interno di Ravenna Coraggiosa e anche fuori, con donne e uomini, ragazze e ragazzi della nostra comunità.

Un primo contributo aperto a tutte e tutti coloro che, assieme a noi, vorranno proseguire il cammino di Ravenna Coraggiosa.

Consegniamo ai gruppi di lavoro che iniziano un percorso per costruire un progetto comune e condiviso per Ravenna, questa prima traccia, perché in modo trasversale, in ogni proposta, sia presente l’ottica di genere senza la quale non saremo Coraggiose e Coraggiosi, radicali nelle nostre proposte di cambiamento e di superamento delle diseguaglianze.

È questo il momento. La pandemia, con la conseguente crisi sociale ed economica, traccia una linea di confine tra un “prima” e un “dopo”, mostrando come il vero problema fosse la vita precedente ad essa: ritmi incontrollati, sfruttamento ambientale apparentemente senza limiti; privatizzazione, marginalizzazione e depauperamento di settori essenziali per la vita, diseguaglianze crescenti e accumulo di grandi ricchezze nelle mani di pochi. Ma ci mostra anche il valore essenziale delle attività di riproduzione sociale e di cura, che sorreggono l’esistenza stessa: il sistema sanitario, la scuola e tutto il lavoro invisibile svolto fra le mura domestiche. E allora mettere al centro LA CURA DEL VIVERE è una scelta radicale e affermare la centralità della differenza di genere nelle politiche pubbliche e private, nel lavoro e nella vita sociale, nella distribuzione dei carichi familiari e nella realizzazione di servizi di cura e assistenziali, è la chiave per dare risposte ai bisogni vecchi e nuovi di tutte e tutti. Il contrasto alla diseguaglianza di genere deve essere riferimento in tutti i campi, perché solo affrontando questa primaria diseguaglianza, è possibile affrontare anche le altre che rendono così ingiusta la nostra società.

Occorre investire risorse alternative, riqualificare quelle già presenti e riorganizzare il territorio secondo un pensiero nuovo che rovesci il modello attuale smantellandone la matrice oppressiva e ne affronti le diseguaglianze, senza lasciare ulteriori differenziazioni tra donne e uomini, tra abili e disabili, tra primi e ultimi.

 Intersezionalità e patto generazionale devono essere i due gameti da cui questo pensiero si origina: anni di svalutazione della cultura di genere e delle categorie “fragili” hanno prodotto una politica che sempre più ha relegato ai margini dei tavoli di discussione e decisione i soggetti più deboli il cui coinvolgimento è essenziale per costruire politiche orientate al benessere sociale, ridefinendo le priorità collettive e mettendo al centro una nuova visione del lavoro retribuito e non. Questo è il momento del cambiamento radicale che restituisca la centralità alle persone attraverso il riconoscimento del valore delle attività di cura, delle relazioni, dell'ambiente; per attuare politiche che contrastino la frammentazione del mercato del lavoro e delle tutele universali, per ripensare radicalmente il sistema di protezione sociale.

Ed è proprio da lavoro e servizi che bisogna ripartire.

La crisi sanitaria ha introdotto un modello innovativo di lavoro a distanza che se da una parte agevola la flessibilità di orari e l’autorganizzazione - consentendo il risparmio dei tempi di spostamento - dall'altra genera nuove condizioni di impiego che necessitano di essere regolamentate, affinché gli aspetti legati al rischio di separazione e atomizzazione del lavoro non ricadano sul lavoratore stesso. In particolare sono le donne a dover conciliare nello stesso ambiente domestico il lavoro retribuito e quello non: la cura della casa e dei figli è ancora in larga misura appannaggio delle donne nel nostro paese.

L’ampia diffusione del lavoro in remoto, anche tra gli uomini, deve essere orientata a favorire un’equa distribuzione del lavoro complessivo, retribuito e di cura, così da alleggerire il carico che spesso grava sulle donne e che le porta a compiere rinunce in ambito professionale. Infatti il 31,5% delle donne tra i 25 e i 49 anni che sono senza lavoro, non cerca o non è disponibile a lavorare per motivi legati alla maternità o alla cura. Infatti prevalentemente sono le donne a scontrarsi con la necessità di rivedere l’organizzazione del proprio lavoro a fronte della nascita di un figlio, e sono sempre loro a ricorrere più frequentemente alle dimissioni volontarie per motivi legati alla famiglia. Si tratta della cosiddetta “child penalty” (il costo sul mercato del lavoro della nascita di un figlio) che colpisce le madri in termini di maggiore disoccupazione, uso del part-time e penalità nei redditi da lavoro.

WELFARE GENERATIVO

SERVIZI ALL’INFANZIA

In questo cambio di prospettiva la maternità non deve più esser vissuta come un problema ma come una risorsa e quindi l’adozione di politiche strutturali e di investimento, dirette ai consumi sociali e al welfare pubblico, sono necessarie e fondamentali.

Allora che si parta dall'ampliamento dell’offerta dei servizi educativi per la fascia di età 0-6 anni, garantendo, per esempio, il tempo pieno e le attività di pre e post scuola; si potenzinogli asili nido e le scuole per l’infanzia, conseguendo così un doppio obiettivo: l'incremento dell’occupazione femminile e la riduzione dei forti divari di opportunità tra cura ed educazione, che contribuiscono in maniera decisiva a perpetuare le diseguaglianze sociali.

Anche nella nostra realtà, che pure vede una buona presenza di servizi pubblici per l’infanzia, si pone il problema di avere tariffe più contenute, non solo per i redditi più bassi, e una maggiore flessibilità di orari, in risposta alle crescenti esigenze delle famiglie, anche monogenitoriali, che rappresentano una realtà sempre più presente. 

EDUCAZIONE DI GENERE

Non è più rinviabile una grande campagna di formazione ed educazione alla differenza di genere, all'educazione sessuale e all'affettività.

La cultura scolastica ha privilegiato il protagonismo e i modelli maschili – nonostante la scuola si definisca un'istituzione neutra e neutrale – cancellando le differenze e il valore dell'esperienza femminile. Con la legge conosciuta come “buona scuola” del 2015 sono stati individuati diversi obiettivi per superare le discriminazioni di genere, ma ciò non è sufficiente al cambiamento culturale richiesto dal nostro tempo.

Per produrre un cambiamento reale anche nella scuola, è necessario inserire nella programmazione scolastica, l’educazione alla differenza di genere già dalla scuola dell'infanzia fino ai gradi secondari, così da evitare la cristallizzazione di tanti stereotipi e se si vuole decostruire la cultura sessista così presente ancora nei media, nel lavoro, nelle famiglie e che è causa prima della violenza.

 Educare i/le giovani alle differenze tra i sessi, al rispetto reciproco delle peculiarità e alle relazioni di genere, alimentando così anche la consapevolezza che l'essere donna rappresenta un diverso universo di vivere e sentire la vita, diverso ma complementare a quello maschile.

La scuola deve ritornare ad essere un luogo di riferimento per gli studenti e le studentesse, così che questa nuova cultura del rispetto e del riconoscimento reciproco delle individualità possa radicarsi e contrapporsi al diffondersi delle culture omofobe e discriminanti delle differenze.

SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO

Questo periodo di pandemia ha provocato inevitabilmente una ridefinizione degli spazi sociali e dei tempi quotidiani che hanno profondamente scosso non soltanto gli adulti, ma soprattutto gli adolescenti che più volte, attraverso i vari canali di comunicazione, hanno tentato di far sentire la propria voce esprimendo il loro disagio e le loro difficoltà.

Se pensiamo ad un cambio di prospettiva, allora, non possiamo dimenticare quanto fondamentale sia il ruolo della scuola non solo in termini di istruzione ed educazione, ma anche come luogo di relazioni e di esperienza.

I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di trovare nella scuola figure di riferimento che non siano solo i loro insegnanti, ma anche figure altre con le quali potersi confrontare e poter mettere a confronto i diversi punti di vista.

Fondamentale, allora, incrementare il monte ore a disposizione degli psicologi e/o dei counselor che dovrebbero essere in grado di avere a disposizione sufficiente tempo da dedicare ad ogni classe, ma anche ad ogni ragazza/ragazzo che ne sente il bisogno.

Altrettanto fondamentale reintrodurre nelle scuole secondarie la figura dell'infermier* che possa non solo svolgere il suo ruolo contenendo possibili situazioni di emergenza, ma che possa fungere da riferimento su questioni che riguardano la salute fisica ma anche sessuale delle/gli student*.

La presenza di entrambe le figure faciliterebbe un percorso integrato e trasversale tra educazione di genere, educazione all'affettività ed educazione sessuale come già accade in diversi paesi europei in cui tali insegnamenti sono obbligatori.

In quest'ottica un importante segnale, anche di collaborazione tra l'istituzione scolastica e l'azienda sanitaria locale, sarebbe la distribuzione gratuita degli assorbenti nelle varie scuole di secondo grado del territorio, perché come succede anche in questo caso in vari paesi europei: avere il ciclo è una cosa naturale, non è un argomento di cui non parlare e tanto meno non è un lusso.

INFRASTRUTTURE E RIQUALIFICAZIONE URBANA

Le politiche economiche sono necessarie anche a contrastare la tendenza attuale che favorisce un’aggressiva privatizzazione dei servizi assistenziali, finanziando investimenti sul fronte dell’innovazione strutturale, tramite la riconversione degli edifici già esistenti, la dotazione di tecnologie all’avanguardia e l'implementazione di professioniste/i qualificate/i, che possano facilitare l'erogazione dei servizi stessi.

Il nostro territorio, per esempio, è carente di posti letto riservati a donne senza fissa dimora, che spesso si rivolgono a servizi sociali o ad associazioni che si trovano impossibilitati ad indicare strutture idonee alla loro accoglienza. Questa difficoltà potrebbe esser risolta attraverso l'individuazione, ri-destinazione e riqualificazione di una struttura attualmente dismessa a dormitorio per sole donne che comporterebbe così la risoluzione di quella che, ad oggi, è una carenza.

Un'altra esigenza che viene definendosi nella società attuale è quella di poter contare su un maggior numero di case per agevolare il co-housing come modalità sempre più diffusa di abitazione con l'ottica di coniugare architettura abitativa e stile di vita comunitario ed ecologico.

Ne è un esempio molto interessante il progetto di co-housing di “Case Franche” sorto in località San Martino di Villafranca, dove responsabilità ambientale, sociale ed economica sono i valori su cui si basa la coabitazione dei 18 nuclei famigliari lì residenti. Prendendo spunto da questo progetto si potrebbe dare risposta anche al bisogno espresso da quei ragazzi e ragazze che vivono nelle loro famiglie situazioni di disagio causate anche dalla loro identità di genere e che sono alla ricerca di un contesto dove poter vivere in serenità.

ASSISTENZA AD ANZIANI E DISABILI

A quanto fino a qui evidenziato è opportuno affiancare il sostanziale potenziamento della rete di assistenza pubblica territoriale, sanitaria e non. Particolare attenzione va riservata ai servizi di cura per anziani e disabili, il cui espletamento ricade molto di frequente sulle spalle delle donne. Sono necessari, quindi, interventi su vari fronti: da una parte è necessario rendere il reperimento e l'accesso alle strutture adeguate ai bisogni della singola persona più snello, dall'altra è indispensabile la riqualificazione di edifici in disuso in alloggi per anziani e disabili che utilizzino tecnologie innovative al fine di superare le barriere fisiche, sensoriali e cognitive, mettendo così al primo posto il valore dell'autonomia individuale.

In ultimo, per evitare l'istituzionalizzazione di anziani e disabili non autosufficienti, è importante valorizzare e rafforzare la rete di assistenza domiciliare, così che le famiglie possano scegliere se prendersi cura del proprio famigliare presso la propria abitazione oppure optare per una struttura residenziale.

Queste infrastrutture sociali generano sostegno alle famiglie e nuove opportunità di occupazione che, nella maggior parte dei casi, è femminile.

CONSULTORI

In un’ottica di sviluppo della medicina di genere che non è la medicina delle donne, ma è la medicina della persona nella sua totalità - indipendentemente dal genere o dai generi di appartenenza – vanno riportati al centro i consultori familiari, individuati come punti di aggregazione e non solo di cura, finalizzati alla promozione della cura in tutte le fasi della vita.

La nostra Costituzione, infatti, sancisce il diritto universale alla salute e questo diritto deve esser garantito tramite anche la piena attuazione della legge 194, resa difficoltosa dall’alta percentuale di medici obiettori presenti nelle strutture pubbliche. Ad oggi, viste anche le recenti linee guida ministeriali, si aggiunge la necessità che i consultori siano luoghi idonei all'attuazione dell'aborto farmacologico.

Importante potrebbe essere il ruolo di raccordo che essi, se in funzione, possono realizzano fra ospedale e territorio circostante. Va quindi rilanciato il ruolo primario del consultorio familiare non solo nella promozione della salute riproduttiva, di tutela sociale della maternità, di presa in carico della donna partoriente e dell’assistenza post partum, di prevenzione dell’aborto, di accompagnamento e di sostegno alla donna che decide di abortire, ma anche in tutte quelle problematiche che le donne possono vivere successivamente alla menopausa.

I consultori sono nati come servizi prioritari per la prevenzione: un servizio integrato che non separasse i problemi sanitari da quelli sociali. E' un paradigma della salute come bene comune, che promuove il benessere delle persone e, per questo, vanno rilanciati, potenziati e qualificati anche nell’ambito dello sviluppo della medicina territoriale e di comunità.

In questa ottica, particolare attenzione deve essere riconosciuta ai giovani, promuovendo, in collaborazione con la scuola, un'educazione sessuale e alla contraccezione, rendendola concretamente gratuita per le ragazze e i ragazzi.

Qual è la situazione nel nostro territorio? Bastano i consultori presenti? Rispondono alle esigenze che ricorrono durante il ciclo della vita?

Noi pensiamo che sia doveroso estendere la rete, perché l’accentramento dei consultori avvenuto negli ultimi anni nella nostra realtà ha di fatto dato un primo colpo all’azione socio sanitaria delle strutture, che è diventata sempre più sanitaria e sempre meno di prevenzione, anche per il numero inadeguato delle professionalità presenti, pertanto le nostre proposte sono:

  • Ripristinare, come da legge, un consultorio ogni 20.000 abitanti, quindi la presenza di strutture che torni ad essere di prossimità.
  • Implementare il numero dei ginecologi presenti (a settembre la presenza reale era inferiore del 40% di quelli previsti in pianta organica) e ripristinare tutte le prestazioni, non solo quelle legate alla gravidanza.
  • Inserire nell’organico della struttura figure professionali dedite al sostegno psicologico, essenziali nell'affrontare i percorsi di vita (dell’adolescenza alla menopausa) e di identità sessuale
  • Adeguare i consultori ad applicare al loro interno l’aborto farmacologico, come stabilito dalle linee guida del Ministero della Salute.
  • I consultori garantiscono servizi specifici e, come tali, l'accesso ad essi deve poter esser immediato, senza dover ricorrere alla prescrizione del proprio medico di base o dover richiedere un appuntamento ad un C.U.P.

VIOLENZA SULLE DONNE E FEMMINICIDI

E’ una battaglia che non può essere delegata solo ai Centri Antiviolenza e ai movimenti femminili e femministi. Servono forti interventi strutturali e organizzati con politiche mirate che contrastino tale fenomeno, che è strutturale, culturale e che disvela come la cultura patriarcale sia profondamente radicata. Un fenomeno che ha avuto un drammatico incremento nell’ultimo anno, anche a causa del domicilio forzato. In Italia il numero di donne uccise è in costante aumento e il nostro territorio non è esente da queste statistiche; i dati confermano che oltre alla violenza aumenta anche la difficoltà delle donne offese a chiedere aiuto, infatti il 90% delle violenze perpetrate non viene denunciato. Occorrono soluzioni che coinvolgano tutte le istituzioni al fine di dare maggior tutela alle donne, con informazioni mirate alla conoscenza della normativa per il contrasto alla violenza di genere e per un percorso, guidato e protetto, di uscita dalla violenza, inclusivo del sostegno economico e dell’aiuto nella ricerca di un lavoro.

Va potenziata la convenzione e il sostegno ai Centri Antiviolenza e alle Case rifugio, che si occupano di fornire ospitalità, ascolto e sostegno psicologico e legale alle vittime di violenza, e che spesso danno l’unica risposta immediata e concreta che le donne oggetto di violenza trovano nelle istituzioni del territorio. 

  • riconoscimento come professioniste delle operatrici che lavorano nei centri antiviolenza
  • attuazione dei protocolli che negli anni il centro antiviolenza ha stilato con le diverse figure e istituzioni appartenenti alla rete
  • formazione periodica e obbligatoria di tutti i professionisti che a vario titolo entrano in contatto con donne che subiscono violenza
  • rendere obbligatorie formazioni ad hoc congiunte tra assistenti sociali e operatrici del centro antiviolenza affinché possano esser condivise le pratiche, resa più snella l'operatività e affrontate le criticità.

OCCUPAZIONE FEMMINILE

Al centro dell’agenda programmatica delle amministrazioni locali deve trovare spazio l’attuazione di una vera e propria politica di genere, che non rincorra il contrasto alle diseguaglianze tramite l’annullamento delle differenze tra donne e uomini, ma basi su di esse l’attenzione e la risposta a temi specifici.

La valutazione di impatto sulle donne dei vari progetti è il presupposto per incidere realmente sulle diseguaglianze e colmarle. Con la pandemia l’occupazione femminile è crollata: a dicembre il tasso è sceso al 48,6% e sono andati in fumo più di 100.000 posti di lavoro, di cui il 98% è rappresentato da donne; infatti nei settori dove sono prevalentemente occupate le donne, come commercio e ristorazione, sanità e servizi sociali, manifattura e istruzione, si è perso il gran numero dei posti e la pandemia ha costretto un sovraccarico di lavoro per le donne a cui è stato chiesto di conciliare il lavoro di cura, ritenuto primario, e il lavoro fuori casa secondario e da sacrificare. E’ il momento in cui le donne non vengano più considerate sostitutive di uno stato sociale smantellato e che le costringe ancora a scegliere tra lavoro e famiglia, aumentando le diseguaglianze tra uomini e donne ma anche fra donne con figli e donne senza. Le donne andrebbero considerate come parametro per spostare il paradigma dalla conciliazione alla condivisione e su questo produrre politiche attive del lavoro e il cambiamento culturale necessario. Nell’ambito della sicurezza sul luogo di lavoro, persiste da parte del datore di lavoro la valutazione del rischio su parametri “neutri”, mentre in questo campo la distinzione è necessaria, per cui occorre dare attuazione delle norme di genere sulla sicurezza sul lavoro;

DEMOCRAZIA PARITARIA (50%)

Se non è paritaria non è democrazia

Purtroppo la strada verso una sostanziale democrazia paritaria è ancora lunga, ma non per questo non possiamo pensare a come rendere questo percorso un po' meno in salita.

La nostra proposta è la presenza paritaria di donne e uomini negli organismi esecutivi e gestionali del comune e degli enti ad esso collegati.

Affinché però sia garantita un'equità tra donne e uomini nelle stesse posizioni ricoperte, è importante pensare a misure che rendano tale parità reale.

Questo perché le donne non devono esser portate a scegliere tra vita famigliare e vita lavorativa né tanto meno devono sentirsi obbligate a conciliarle.

Realizzando tali interventi anche le donne potranno dare il loro contributo al pari degli uomini.

Ravenna Coraggiosa
Sede legale: via delle Industrie 9, 48123, Ravenna
Codice Fiscale: 92094680391
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